I BELIEVE in MAGIC, RITO e SCARAMANZIA nello SPORT
Dai cinque rimbalzi che Serena Williams fa compiere alla pallina, alle bottigliette di Nadal perfettamente allineate, per giungere all’arresto – in campo – del portiere icona del calcio africano, Thomas N’kono, colpevole di aver celebrato un rito vodoo vicino alla porta avversaria, molti sportivi – ma anche molti tifosi – sono davvero convinti di contribuire al risultato con la forza del proprio “pensiero magico”.
L’abitudine ai comportamenti propiziatori – la differenza tra rituali e superstizione è molto sottile, anche se esiste – è assai diffusa, sicuramente molto più di quanto tutti siamo disposti ad ammettere, e trova fondamento in una ragione psicologica precisa. I rituali, o tic, vengono infatti adottati dal cervello con una funzione specifica, quella cioè di consentirci di affrontare situazioni difficili o stressanti, tenendo sotto controllo la paura che – diversamente – non riusciremmo a sopraffare e di attribuire poi – alla presenza/assenza dei rituali stessi – la buona (o meno!) riuscita delle azioni. Insomma, tra rito e superstizione, siamo una ditta specializzata nel produrre giustificazioni che ci tornano utili pur di non costruire spiegazioni razionali! Negli ultimi decenni la psicologia ha cercato di analizzare approfonditamente le ragioni di tali comportamenti gettando le basi per spiegarli.
In particolare sono stati condotti, in Germania, esperimenti su sportivi: la psicologa Lysann Damisch dell’Università di Colonia ha concluso che i riti, i gesti routinari, (i palleggi, l’allineare le bottigliette ed altri comportamenti) possono migliorare le prestazioni. L’assunto è che i rituali funzionano perché aiutano l’atleta a concentrarsi sul proprio obiettivo, “dimenticando” le sequenze motorie che risultano, così, essere più naturali e precise. Le superstizioni invece, avrebbero un’origine diversa: viene cioè loro conferito – da parte di chi ci crede – un potere magico. E’ naturale essere convinti di poter influire con il nostro pensiero perché, sotto stress, ogni cervello ragiona in modo magico.
In presenza di situazioni estreme chiunque è portato a credere ad atti non razionali; è il nostro cervello che li alimenta offrendoci scenari che permettono di affrontare la realtà con una nuova soluzione, un’invenzione. Lo proviamo quando pensiamo a soluzioni “impossibili” o “poco probabili” che dovrebbero intervenire a toglierci d’impaccio, quasi per magia! Ma riti e superstizioni aiutano nella performance? La risposta è affermativa, anche se naturalmente i gesti routinari possono migliorare le prestazioni ma rimangono distinti dalla competenza nel gesto tecnico.
L’ipotesi proposta è che riti e superstizioni possano aumentare la fiducia nelle proprie capacità, dando l’illusione di poter controllare la situazione, rifacendosi così ad un concetto della Psicologia noto come locus of control – che tende a indicare la modalità con cui un individuo ritiene che gli eventi della sua vita siano prodotti dalle sue azioni o da cause esterne alla propria volontà . Il locus of control, teorizzato dallo psicologo Albert Bandura, può essere esterno od interno . Nella prima ipotesi il risultato dell’azione, della gara nel nostro caso, è attribuito ad eventi esterni come la casualità, la fortuna, la capacità di un amuleto di proteggerci. Nel secondo caso, invece, il risultato poggia sulla consapevolezza di sé, sulle proprie capacità . Nel caso degli sportivi, ma anche in molte altre circostanze della nostra quotidianità, prevale il primo; troppo gravoso pensare che il buon esito o l’insuccesso dipendano solo dai nostri muscoli e dalla nostra testa! Ecco perché si tende a ricercare una via di fuga, alternativa.
La storia del tennis ci offre un paio di gustosi aneddoti che hanno come protagonista Ilie Nastase, il tennista romeno già numero uno del mondo. Nel 1974 si presentò in campo a Wimbledon tenendo in mano – oltre alla racchetta – l’ombrello..sapendo che l’avversario era molto superstizioso!
Ma non era finita! Si dice che nel 1977, al Roland Garros, mentre in coppia col suo socio storico Jon Tiriac si apprestava a sfidare la coppia italiana Panatta – Bertolucci pagò un cuoco, si parla di 500 franchi, perché gli procurasse un gatto nero. Nonostante le proteste di Tiriac il micione finì nella borsa di Nastase che – con la scusa di cambiar racchetta -lo liberò in mezzo al campo, suscitando le ire e le proteste dell’Adriano nazionale, notoriamente molto superstizioso!
Gli azzurri deconcentrati e con Panatta fuori di sé persero nettamente il match!
Crederci e praticare la scaramanzia, in fondo, di per sé non è una pratica negativa. Come in tutte le cose l’importante è non esagerare!
Quando diventa troppo? Quando non si riesce più a distinguere tra i due piani, il reale ed il magico, e si diventa completamente dipendenti dai rituali che – se non portati a termine – paralizzano le attività abituali; quando prende piede la convinzione che il nostro pensiero magico del momento corrisponda davvero alla realtà.
E se talvolta il dubbio ci assale e cominciamo a vedere che i nostri riti sono davvero troppi … facciamo nostro questo pensiero di Voltaire: “Le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle” !